LA CITTà

 

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Venosa sorge sul limite est della Basilicata, quasi al confine con la Puglia, in una  grande vallata delimitata dal Vulture e dalle Murge. La ricerca della struttura degradata del centro storico fra vicoli, case cadenti, cortili, loggiate impenetrabili, alla scoperta del patrimonio artistico, notevole ma disarticolato , è difficile. Il pianoro sul quale sorge doveva presentarsi, durante il Quaternario, come una estesa palude sulla quale nel tempo si è impiantato un sistema idrografico che, ostacolato dalle manifestazioni vulcaniche del Vulture, ha permesso la formazione di piccoli corsi fluviali, laghi poco profondi e acquitrini, ambienti, cioè, favorevoli alla diffusione di una ricca fauna, oggetto di caccia da parte dell’uomo preistorico. Molti sono i reperti dell’età paleolitica rinvenuti nelle contrade di Loreto, Terranera, Notarchirico, Sansanello etc.. Dopo un lungo periodo di tempo, tracce archeologiche hanno mostrato l’esistenza di un insediamento sannitico al quale fu, forse, imposto il nome di " Venotza ", di origine ignota, donde Venossia, Venosia e Venusia?!! Se "Benoth " vuol dire qualcosa come Venere, il fenicio " Benossa " indicherebbe un luogo di bellezza.

Un’altra tradizione vuole che Diomede, portato da una tempesta nel paese dei Dauni, abbia fondato Venosa traendo il nome da Venere , per placare l’ira della dea da lui ferita a Troia: Il Cimaglia ritiene Venosa termine caldeo, tradotto in latino con il significato di " Vexilium ferens "in quanto città a capo dei paesi vicini. Altri autori fanno derivare la denominazione dalle numerose vene d’acqua, dai vini pregiati, dalla fondatrice Venilia, moglie di Dauno, il re soccorso da Diomede nella guerra contro i Messapi. E’ nel 321 a.C. che si hanno i primi rapporti con Roma, al tempo della II guerra Sannitica, la città fu espugnata dopo un lungo e sanguinoso assedio..

Negli anni in cui si svolse la III guerra Sannitica fu perfezionata la conoscenza dei luoghi, consolidata l’opera romana, apprezzata meglio l’importanza strategica di Venosa, che nel 291 a.C. venne istituita colonia, prima di diritto latino e poi di diritto romano. Roma ebbe grande cura e rispetto per Venosa, non abolì le magistrature locali, le istituzioni senatorie e l’esercito. Sotto l’Impero fu importante sede nell’arte della lana, e da Costantino in poi la Chiesa Venosina prese parte ai Concili Ecumenici Romani. Non si può non ricordare la gigantesca figura di chi rappresenta simbolicamente la grandiosità del genio venosino : Quinto Orazio Flacco. Dalla sua opera letteraria emerge con saggezza la lettura delle caratteristiche dell’uomo del suo tempo, e per lui Venosa nutre eterna riconoscenza.

Con gli Ostrogoti fu capitale della Puglia e della Calabria e solo sotto i Longobardi fu ridotta ad una fortezza dipendente dal Castaldato di Acerenza, vale a dire di possesso diretto del re, anche se situata nel Ducato di Benevento. Nel 622 l’imperatore d’Oriente, Costante II, la liberò dai longobardi.

I saraceni saccheggiarono poi la città nel IX secolo e se ne impadronirono per quindici anni, fino a quando vennero sconfitti da Ludovico II. Nel 976 fu assoggettata a Bisanzio, alle dipendenze del Catapano di Bari. Tornò a fiorire con i normanni, i fratelli Guglielmo, Drogone e Umfredo, figli di Tancredi d’Altavilla, poi sepolti nella SS. Trinità. Rispetto all’Alto Medioevo, i secoli XI, XII e XIII rappresentano per Venosa una stagione di grandi realizzazioni urbane. La conquista normanna coincise col perfezionamento dell’organizzazione feudale. I feudatari locali impedirono l’affermarsi dell’autonomia comunale , tuttavia la città crebbe e si dotò di edifici che diventarono l’orgoglio cittadino. Si verificò l’abbandono sempre più marcato dell’area nord - orientale del promontorio ( città romana ). La crescita urbana continuò con gli Svevi, acquisendo le caratteristiche tuttora conservatesi. La dominazione normanna è fondamentale per l’intera vicenda artistica della Basilicata. Federico II dichiarò Venosa città appartenente alla corona, ne derivarono privilegi sovrani che resteranno vigenti fino alla dominazione angioina. Durante il periodo federiciano a Venosa si respirava una certa vivacità intellettuale : Riccardo da Venosa compose un poema in versi " De Paulino et Polla liber " , presentato personalmente a Federico in occasione di una sua sosta nella città. Nel XIII secolo viene istituito il fondaco del sale che , proveniente da Barletta, veniva distribuito alle altre città lucane. Nel 1266, divenuto re di Napoli Carlo d’Angiò si concluse per Venosa un florido periodo e cominciò una lenta decadenza, essendo legata alle varie dinastie che si succederanno sul trono. Un certo sviluppo culturale, oltre che urbanistico, si ebbe quando , negli ultimi decenni del XV secolo Venosa legò il suo destino a Pirro del Balzo, dispotico feudatario che esercitava il suo potere tra l’autorità dei re aragonesi e l’egemonia locale dei baroni. Egli realizzò un assetto urbanistico destinato a migliorare le condizioni di vita di tutta la popolazione.

Apportò un contributo determinante alla formazione del volto monumentale della città, volendo affermare il proprio prestigio sulla comunità attraverso l’architettura. Venosa raggiunse una nuova dimensione grazie ad una ridefinizione del perimetro murario, che escluse definitivamente la città romana. Si determinò un polo urbano in cui si imponevano tre monumenti : il Castello, la SS. Trinità e la Cattedrale di S. Andrea. Dopo la morte di Pirro e la sconfitta degli Aragonesi la città passò al gran capitano Fernando Consalvo di Cordova che rimase signore di Venosa fino all’acquisto del feudo da parte dei Gesualdo. Da allora Venosa cominciò ad avere un suo stemma con un basilisco in campo d’oro, con una zampa levata ed appoggiata alla gola, e con coda serpentina: stemma che venne aggiunto alla vecchia medaglia con la scritta " Respublica Venusina", con un’immagine di dea: Nel 1503 una devastante pestilenza determina un forte decremento demografico. Molte chiese vennero costruite allora come ringraziamento per la fine del flagello. I Gesualdo, protagonisti ora della vita politica e culturale, furono sensibili al fascino della vita mondana e resero Venosa attivo centro intellettuale negli anni di trapasso dal Rinascimento alla Controriforma. In questa ripresa culturale emergono personalità di spicco, come Pomponio, Lucio e Bartolomeo Maranta, Luigi Tansillo e A. T. Cappellano. Dopo i Gesualdo il feudo passa ai Ludovisio, il passaggio segna l’inizio di una stagione di crisi urbana, che si protrarrà sino alla Rivoluzione Francese, tuttavia la produzione di testi letterari, e di documenti iconografici sarà rilavante. Alla fine del Settecento la città fu nelle mani della famiglia Caracciolo di Torella, nonostante piccoli segnali di vitalità, l’economia cittadina era fuori dai grandi circuiti produttivi e commerciali del Regno di Napoli. Le condizioni sociali di estrema miseria, il degrado delle strutture fisiche e l’isolamento economico, alla fine del XVIII secolo , destavano preoccupazione.

E’’ in questo contesto storico che alcuni venosini, tra cui i Rapolla, promossero la costituzione di una municipalità repubblicana, perdendone poi il controllo a causa di rivolte popolari. Nel 1808 è la terza città della Basilicata, dopo Melfi e Matera, per il numero dei possedimenti, ad avere diritto attivo e passivo nel Parlamento Nazionale Napoleonico.

Non manca il coinvolgimento attivo nelle sommosse risorgimentali, nel 1848 uno studente venosino, L. La Vista, rimane ucciso a Napoli, sotto gli occhi del padre, durante i moti rivoluzionari.

Un’immagine romantica della città di Venosa ci viene offerta , verso la metà dell’Ottocento, da Edward Lear, un viaggiatore inglese ; la sua descrizione, corredata da una serie di disegni di pregevole fattura, offre interessanti spunti di considerazione. "…..l’antica città di Venosa, pittoresca quant’altre mai, sorge sull’orlo di un ampio e profondo vallone, con il Castello e la Cattedrale che guardano dall’alto l’intera area urbana… Non ho mai visto paesaggio più suggestivo in questa parte del Regno."

Dalla fine dell’Ottocento non si registrano eventi di nota, ciò che resta è la memoria di un passato illustre, che continua a sollecitare ricerche e studi.